L’amore oltre ogni confine
balcanica?
La rotta balcanica è una tratta, nata come via per il commercio di armi e droga e divenuta
poi la via della salvezza.
La prima Rotta Balcanica partì ufficialmente il 25 ottobre del 2015 dalla Siria e prevedeva il
seguente percorso: Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria. 800 mila migranti partirono per
chiedere asilo in Europa:per quest’ultima
erano “troppi” così, nel marzo del 2016,
Bruxelles ha siglato un accordo con Ankara per limitarne l’arrivo. Questo non ha fermato
uomini in cerca di salvezza, uomini pronti a cambiare la propria vita drasticamente per il
bene della famiglia: così non smisero di provarci, solo cambiarono strada. Ad oggi il
percorso prevede il passaggio dei seguenti stati: Grecia, Turchia, Bulgaria, Macedonia,
Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia
e Italia.
L’esodo di persone provenienti principalmente da Afghanistan, Pakistan, Iran, Siria (ma
anche Senegal,Bangladesh, Iraq, Nepal, Marocco, Eritrea!) non è del tutto incontrollato; è
stata strutturata una rete tra i diversi stati di transito, nello specifico costituita da Hot-spot:
quando un entry point è pieno, i migranti
restano bloccati negli exit point dello stato precedente e così via fino a quando uno stato
non libera le vie di accesso permettendo il proseguirsi del flusso della rotta.
Nella maggior parte dei casi il viaggio viene percorso a piedi ma, nonostante ciò, non si
tratta di un viaggio gratuito, non solo perché le persone lo pagano con la fatica, la
sofferenza e talvolta la vita ma soprattutto perché al di sotto della rotta vi è
un’organizzazione criminale efficiente, i cosiddetti passeur che richiedono somme
inimmaginabili
per un semplice passaggio in auto o un posto
in prima classe sotto un
tir.
Per la guida a piedi sono richiesti intorno ai 1.500 euro e via via a salire a seconda del
servizio. I prezzi massimi per tutto il viaggio in auto da Velika Kladusa (Bosnia Erzegovina)
a Trieste si aggirano sui 6.000 euro.
A pagare sono spesso le famiglie di origine poiché a partire è un single man, un uomo
scelto all’interno della famiglia che ha il compito di farcela, di trovare lavoro e di inviare i
soldi a casa; per raggiungere questo obiettivo le famiglie si indebitano, vendono la casa,
danno in spose le figlie, non certi però di quel che accadrà. Purtroppo, però, i più non
hanno soldi e in viaggio ci vanno da soli e senza mezzi. Camminano di notte attraverso i
boschi con il rischio di saltare sulle mine e poi tornano indietro senza scarpe perché la
polizia croata gli ruba pure quelle.
Io sono Monica, una studentessa di psicologia presso l’università di Trieste, Socia
dell’Associazione “Sulle orme dei Servi-verso il mondo”, che circa due mesi fa ha
incontrato questi giovani e prima di loro Lorena e Gianandrea.
Lorena è una psicoterapeuta di 69 anni che vive a Trieste con Gianandrea, 85 anni,
professore di filosofia in pensione. Sono loro che nel 2015 hanno iniziato ad offrire
assistenza ai ragazzi che riuscivano a passare il confine con la Croazia e che sul corpo
portavano i segni delle torture.
Hanno iniziato a medicare i loro piedi affinché potessero poi ripartire e così dal 2015 ad
oggi davanti alla stazione è nato un piccolo presidio medico che offre cure, cibo e
indumenti puliti.
Dall’ottobre del 2019 è nata “Linea d’Ombra”, l’associazione da loro fondata e con cui io
stessa collaboro: offro aiuto nella piazza del mondo, o meglio, in Piazza della Libertà,
davanti alla stazione di Trieste,che Lorena chiama piazza del mondo.
Ho sentito questo nome la prima volta che sono scesa in piazza e subito non ho compreso
il vero significato di queste parole ma oggi posso dare loro un senso: nella piazza del
mondo le culture si incontrano e prima ancora si incontrano gli sguardi.
Gian Andrea è la mente e Lorena è il braccio,
lei cura i piedi non solo con abilità ma
anche con dolcezza e amore. Nell’orrore delle ferite io guardo incantata le mani di Lorena
che massaggiano e accarezzano, gli occhi invece sorridono.
Lei diviene
la sorgente d’amore per questi uomini che per anni non hanno ricevuto una
carezza, un sorriso o un abbraccio.
Ma ciò che viene fatto nella piazza non è solo cura fisica è anche, seppur debole, una cura
psicologica. La prima cosa che noi tutti facciamo è chiedere ai profughi il nome e il paese
d’origine, ricordando loro che hanno ancora una dignità prima di un’identità.
Linea d’ombra cresce e continua ad operare grazie alle radici forti di Lorena e Gianandrea
ma tutto ciò che riesce a fare è anche merito dei tanti volontari che ogni giorno scendono
in piazza.
Qualcuno aiuta nella cura, altri si occupano del cibo ed altri ancora di preparare
e portare
gli zaini.
Ed è anche grazie all’Associazine “Sulle Orme dei servi- verso il mondo”, di cui sono Socia
da diversi anni, se questi zaini vengono realizzati.
Ogni zaino contiene un paio di scarpe, un kit igienico (saponetta, asciugamano, rasoio,
mascherina, dentifricio e spazzolino), una felpa, una t-shirt, un paio di mutande, dei calzini,
un berretto, una sciarpa e un dolcetto.
Viene poi aggiunta una giacca pesante e un sacco a pelo per dormire in qualche rudere
cittadino tra i topi e i ragni.
Nella piazza del mondo non ci si occupa solo della cura e del sostentamento primario, si
ascolta, si ascolta il game di ciascuno di loro. La strada sui piedi è la stessa ma la strada
nella testa è sempre diversa.
Game = gioco, “Vado in game” è l’espressione che utilizzano i ragazzi ogni volta che
tentano di passare il confine tra la Bosnia e la Croazia.
Questo nome non è stato inventato dai migranti bensì dalla polizia croata che una volta
catturati i profughi gridava
loro “Game over” ossia “gioco finito”.
Ammetto che i primi giorni non è stato facile incrociare gli sguardi di questi giovani. Molti di
loro hanno la mia stessa età e proprio per questo, forse, la
sintonia nasce in pochi minuti.
Spesso sono dubbiosi e restii al dialogo ma dopo qualche istante, spuntano sorrisi
meravigliosi e quello che mi chiedo è: come fanno? Come
fanno a sorridere con i piedi aperti dalle ferite del bosco, con gli occhi pieni di orrore e il
corpo pieno di percosse?
Fin da bambina mi è stato insegnato che la vita è il dono più prezioso che abbiamo, ci è
stata regalata e a noi sta amarla e custodirla.
Questo leggo negli occhi di questi ragazzi: l’amore per la vita, l’amore per la famiglia e per
quella terra di origine che forse non vedranno mai più.
Sono profughi, sono illegali in Italia, hanno la scabbia e le zecche, sono sporchi, non
sanno l’italiano e spesso nemmeno l’inglese ma sono uomini, sono
esseri umani.
Persone come me, persone come voi. La differenza? Noi siamo nati in Italia e non in
Pakistan, Afghanistan, Siria ecc…
Non dimentichiamo mai l’umanità,
la stessa che muove le mani di Goga, Marianna,
Christiana quando cucinano, di Lorena e Gabriella quando curano,di
Nicola, Carlo, Paola quando preparano gli zaini e di tutti i Volontari che ogni giorno,
sfidando il freddo e il caldo, scendono in quella piccola piazza per portare aiuto e
sostegno.
Ogni giorno, quando vedo quei giovani partire, o meglio, ripartire, prego affinché riescano
a salvare se stessi ed avere un giorno una vita dignitosa e
serena.
E poi ricordiamoci un “famoso” episodio, noto a tutti noi come “La lavanda dei piedi”,
raccontata da Giovanni (13,12;14) “Capite quello che ho fatto per voi? Se dunque io, il
Signore, il maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.”
Monica Gallina